Il ministro Amendola: sul Recovery fund nessun allarme dalla commissione Ue

“Notizie destituite di ogni fondamento”. E’ lapidario il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola nel commentare le notizie di stampa che parlano di uno "scenario di allarme dalla Commissione" Ue sul ritardo dell'Italia nella presentazione del proprio piano sul Recovery fund. Intervenendo a SkyTg 24, il ministro ha sottolineato che "ieri due commissari europei hanno detto in conferenza stampa che non c'è nessuna preoccupazione sulla presentazione dei piani" e che comunque “non siamo in ritardo”. Da una trasmissione di RaiDue gli ha fatto eco il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli: “siamo nei tempi indicati e credo che i tempi saranno rispettati". Ad accendere la discussione in ambito europeo sui fondi del grande piano di aiuti è la minaccia di veto sul bilancio europeo di Ungheria e Polonia, non disposte ad accettare la clausola sullo stato di diritto. Qualora confermassero il loro veto, alcuni paesi sono però pronti a rispondere con quella che il segretario di Stato agli Affari europei della Francia, Clement Beaune, ha definito "Una variante nucleare che nessuno vuole". Di cosa si tratta? Di un possibile accordo intergovernativo, con implicazioni politiche e pratiche molto rilevanti, da mettere in campo solo se non si riuscirà a trovare altre vie d'uscita. Non è una novità assoluta: l'ipotesi era già stata valutata durante le interminabili giornate di negoziato al vertice di luglio, quando i 27 leader non riuscivano a trovare la quadra sullo stimolo economico da 1.800 miliardi. Prudente per ora il commissario all'Economia Paolo Gentiloni, che ha invitato "a non considerare proposte che potrebbero non risolvere il problema, ma semplicemente distrarre dall'obiettivo di risolverlo". In queste ore, in vista della videoconferenza dei leader di domani, si fa forte la pressione europea su Polonia e Ungheria, con in testa la cancelliera Merkel ed i presidenti di Consiglio e Commissione europea Charles Michel e Ursula von der Leyen. Ma Budapest e Varsavia, rafforzati dal sostegno della Slovenia, non sembrano al momento inclini a mediazioni.