Tra speranze e scetticismo: dal 10 al 21 novembre, a Belem, Brasile, la Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici. Pesa l'assenza di fatto degli Stati Uniti

A 10 anni esatti dalla firma dell’accordo di Parigi, in Brasile a Belem, alle soglie della foresta amazzonica, dal 10 al 21 novembre, si terrà la COP30, ovvero la 30esima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il più importante evento globale dell’anno per il clima. La crisi del multilateralismo, costringerà la conferenza, più che in passato, a dimostrare a un mondo frammentato, agitato da molti governi scettici, se non negazionisti dei cambiamenti climatici e alle loro opinioni pubbliche, l'urgenza di processi negoziali capaci di affrontare e risolvere le sfide climatiche. Il vertice riunirà leader mondiali, scienziati, organizzazioni non governative e rappresentanti della società civile per discutere delle azioni prioritarie da adottare per contrastare i cambiamenti climatici. I leader mondiali si incontreranno tra giovedì 6 novembre e venerdì 7 novembre. E dal 2019 si annuncia, purtroppo, la più bassa partecipazione di leader mondiali. Allora, a Madrid, nel corso del primo mandato Trump si presentarono meno di 50 capi di Stato. Alla COP29 del 2024 a Baku c’erano più di 80 capi di Stato e di Governo. Ai tre vertici precedenti di Dubai, Sharm el-Sheikh e Glasgow, invece, erano più di 100 i leader politici presenti. Ad oggi, per l'appuntamento di Belem, sono una sessantina i politici di alto livello ad avere confermato la propria presenza.

Difficoltà logistiche e costi troppo elevati hanno inoltre spinto le realtà coinvolte, governative e non,a ridurre le proprie delegazioni. La difficoltà a trovare alloggi a prezzi accessibili ed altre complicazioni hanno spinto molti a "ripiegare" sugli eventi finanziari di questa settimana a San Paolo o al vertice dei leader locali organizzato a Rio, che precedono l'inizio dei lavori della COP30. Ma a fare discutere è una grande assenza, non certo motivata da ragioni economiche: quella degli Stati Uniti. L’avversione di Trump per le politiche climatiche, porterà infatti l'amministrazione Usa a non inviare alcun rappresentante di alto livello. Anzi, ad oggi non è nemmeno certa la presenza di rappresentanti del governo Usa. E non c'è da stupirsi visto che Trump, ad inizio anno, ha annunciato il ritiro dagli Accordi di Parigi sul clima (gli Usa saranno formalmente fuori a gennaio 2026). Era già accaduto nel 2017, durante il primo mandato Trump, ma il suo successore, Joe Biden, aveva subito provveduto ad annullare il provvedimento. La decisione di Trump è d'altronde la conferma della visione e della volontà della "sua"America, impegnata a picconare ogni istituzione o strumento di cooperazione internazionale. Negare la realtà del cambiamento climatico, è alla base di questa visione nazionalista, che mette gli interessi nazionali, identitari ed economici sopra ogni cosa. Assenti di fatto gli Usa, molta attenzione dovrà essere posta al dialogo tra Europa e Cina e alle mosse del Brasile padrone di casa. Sul tavolo della Conferenza c'è la proposta brasiliana di avviare un meccanismo di finanziamento di bond forestali, per proteggere il patrimonio forestale amazzonico e globale, assieme alle comunità indigene che ci vivono. Una proposta su cui pesa , però l'ambiguità dello stesso  Brasile, che in un rapporto stretto di collaborazione con la Cina ha deciso di tagliare la foresta amazzonica con una linea ferroviaria che consentirà il trasporto merci in arrivo dalla costa pacifica verso quella atlantica. Il Brasile, tra i maggiori produttori al mondo di biocarburanti, vorrebbe inoltre quadruplicare la produzione di questi carburanti, incontrando in questo il consenso del governo italiano impegnato a promuoverli anche in Europa.

La Cop 29 di Baku si era conclusa con un accordo al ribasso sul nuovo obiettivo di finanza climatica, con i Paesi industrializzati impegnati a limitare il più possibile gli impegni finanziari necessari da mettere in campo, in opposizione ai Paesi in via di sviluppo colpiti da alluvioni, siccità, erosione delle coste... decisi a fare molto di più. Belem, annuncia di riproporre lo stesso schema, con molte nazioni più impegnate ad innalzare le spese per armamenti, che non a contrastare i cambiamenti climatici, nonostante gli allarmi degli scienziati ed i numeri impietosi: il 2025 si avvia a essere il terzo anno più caldo mai registrato (dietro 2024 e 2023), stazionando in maniera preoccupante intorno alla soglia di 1,5°C.  Le politiche attuali proiettate nel tempo,  ci porterebbero a circa 2,8°C entro fine secolo.